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Ogni frutto ha la sua stagione

ogni frutto ha la sua stagione

Come ogni anno arriva settembre.
E con esso le prime rinfrescanti piogge. La ripresa delle scuole e il conseguente traffico cittadino.
La raccolta dell’uva, dei fichi maturi e degli sposi.

Quest’anno la mia stagione è stata proficua.
Due matrimoni in una settimana.
<<Che peso!>> dirai tu.
<<Che peso!>> dico io.
No, scherzo! Non è affatto così.

Già dall’invito ho atteso con trepidazione l’arrivo dei due eventi.
Innanzitutto perché di fronte alla celebrazione dell’Amore non si può che esserne grati e riconoscenti.
In più le due coppie di promessi sposi non potevano essere più agli antipodi per età ed esperienze di vita.
I primi, intorno alla trentina. I secondi, con qualche anno di affinamento in barrique.

Premetto che quanto sto per scrivere non ha nulla a che vedere con i futuri coniugi sopra citati. E’ solamente frutto delle mie elucubrazioni o più semplicemente considerazioni.

Quando si hanno vent’anni o poco più, l’arrivo della partecipazione è quasi sempre accolto con grande eccitazione.
A volte con tanto di lacrimuccia di commozione.
L’emozione dei promessi sposi contagia il parentado e gli amici.
Si iniziano a progettare mille scherzi; a definire apocalittici addii al nubilato o celibato.
Modelli tridimensionali e proiezioni ortogonali vengono attuati per definire l’abito da indossare, l’altezza dei tacchi, l’acconciatura da esibire e il trucco.

Quando si ha goduto di qualche anno di affinamento, l’arrivo della partecipazione è quasi sempre accolto con un misto di emozioni equiparabili al giro della morte nelle più adrenaliniche montagne russe.
A volte con tanto di lacrimuccia di costernazione.
L’emozione dei promessi sposi getta nel panico il parentado e gli amici.
Si iniziano a progettare mille scuse; a definire apocalittici scenari nell’utopico tentativo di declinare l’invito.
Modelli tridimensionali e proiezioni ortogonali vengono attuati per ridare vita ad un abito da anni nell’armadio o per camuffare l’ultimo acquisto mai sfoggiato fuori casa e già immortalato in dozzine di selfie. L’altezza dei tacchi calcolata al millimetro per consentire il punto d’incontro tra l’incedere felino e la sciatalgia incipiente.

E finalmente arriva il grande giorno.

Avvolti in eleganti abiti nuziali, gli sposi si scambiano commossi i voti, le promesse e le fedi.
Accanto a loro, emozionati, parenti ed amici.

“Tutto qui?” stai pensando.
Tante premesse ed in tre righe riassumo il momento clou.
Liquido con striminzite parole la parte saliente dell’intero avvenimento. L’istante cruciale. L’atto fatidico che trasforma due individui da promessi sposi in neo coniugi.
Ebbene, sì.

Dalla mera descrizione scenografica dell’evento in sé, in fondo, non trapela la parte che, per me, rappresenta la sostanziale differenza tra un matrimonio e l’altro.
Gli abiti si contraddistinguono a seconda del gusto personale dei protagonisti. Il rito e l’ambientazione, dal credo della coppia o dal compromesso da loro raggiunto. La scelta degli addobbi, dei fiori, delle musiche, così come il numero dei testimoni, delle damigelle, dei paggetti e dei cerimonieri, variano di volta in volta e da sposi a sposi.
E di commenti se ne fanno sempre tanti, troppi. Dalla consegna della partecipazione alla bomboniera; passando dal vestito della sposa, a quello della zia della cugina della nipote della terza signora seduta nel quinto banco a partire da destra.

Ok. Lo ammetto! Non sono così insensibile allo sfavillio scenografico di un dolce connubio.
Un paio di punti sono imprescindibili anche per me.
Quali?
Un’allegra brigata e del buon vino.
E con il secondo, spesso quanto volentieri, si ottiene anche la prima.

Quello che mi rimane più impresso di una festa nuziale, è quanto traspare dagli sposi nel momento del loro fatidico sì.
L’energia d’Amore che scorre tra loro, una sintonia unica quanto irripetibile. Una vibrazione sottile che inevitabilmente attraversa i cuori di ogni presente, consapevole o no.

In questa fruttuosa settimana ho avuto modo di rendermene conto. Di prendere coscienza di quanto tutto ciò sia per me così significativo.

Due coppie.
Due cerimonie totalmente diverse tra loro ed al contempo ugualmente commoventi.

Cosa ho imparato da tutto questo?
Molto!

Ho imparato che ogni frutto ha la sua stagione e le cose avvengono al momento opportuno. Così come ogni relazione d’Amore e ribellarsi ostinatamente a questa legge non porta a nulla.
Ho imparato che i primi frutti non sono più dolci e gustosi di quelli successivi.

Ho imparato che la bellezza di un Amore primaverile si nutre della freschezza data dal nuovo; dal vigore giovanile che tutto può, in quanto ha il tempo dalla propria e a che non sia così neanche pensa. Dall’ingenuità di chi non ha sperimentato sulla propria pelle le intemperie della vita. Di chi ancora non ha fatto esperienza della cattiva stagione; ha sentito parlare dell’inverno, ma con innocenza vive la primavera come se fosse per sempre.

Ho imparato che lo splendore di un Amore più maturo trae vita direttamente dall’esperienza, dalla consapevolezza.
E’ un albero maestoso. Radici profonde lo radicano a terra. Gli errori e i fallimenti i suoi fertilizzanti.
E’ cresciuto nonostante tutto, godendo delle favorevoli stagioni passate e tenendo duro in quelle più avverse.
Ha conosciuto la furia del maltempo, come il tepore consolatorio del primo raggio di sole. Tutte le stagioni e il loro ciclico ritornare.
Con la corteccia non più integra, la chioma spazzata via dal vento, custodendo tra i rami nidi ormai vuoti, caparbiamente, trae forza da sé e con l’arrivo della primavera trova nuovamente il coraggio di germogliare.

Ecco cosa ho imparato e, in parte, ricordato.

Io stessa, come tanti, e forse anche come te, ho visto diverse stagioni. Alcune davvero terribili con inverni che sembravano non terminare mai, eppure alla fine il sole ha sempre fatto capolino.
In questa settimana, della quale sono davvero grata, ho preso ancora più consapevolezza di quanto l’Amore sia essenziale alla Vita.
E quello per se stessi, prima di tutto.
Un Amore che passa dal rispetto verso la propria persona, dall’aver cura di sé. Dall’importanza di abbandonare l’apatia del lasciarsi vivere e iniziare ad agire in linea con il proprio Destino, perché solo così le nostre vite cambiano davvero.
Dal maturare, e attuare con coraggio, la decisione di tagliare via da noi quei rami ormai infruttuosi che, dannosamente, succhiano energia vitale lasciandoci senza forze.
Solo così, si può reperire nuova linfa e vigore.
Solo così, al momento opportuno, si può ritrovare l’audacia di germogliare nuovamente.

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