Molte volte li vediamo per strada, sui marciapiedi, lungo le ciclabili, nei parchi. A fatica li sopportiamo. Vuoi per il modo di incrociare il nostro percorso, per la sfrontatezza dovuta alla loro giovane età o per l’invidia che proviamo nel guardarli scivolare sull’asfalto in equilibrio su una tavoletta con le ruote. Loro sono gli skaters e di rado li associamo ad atleti, perché non percepiamo la pratica come attività sportiva; invece chiudono il terzetto di sport made in USA che nel 2020 avremmo visto far parte delle discipline olimpiche: il Baseball, gradito ritorno, e gli esordienti Surf e, per l’appunto, Skateboard.
I primi avvistamenti di tavole con ruote sono degli anni ‘40, sulle strade del quartiere di Montmartre, Parigi. L’inizio di questo sport va però attribuito ai surfisti californiani che negli anni ‘50 cominciarono ad assemblare le tavole con le ruote dei pattini e a usarle per allenarsi in attesa che il mare regalasse buone onde. Nasce così lo Skateboard e un nuovo passatempo: il Sidewalk Surfing ossia il surfing sul marciapiede.
Negli Stati Uniti prese piede rapidamente. Per tutti gli anni ’50, i produttori di giocattoli inciampavano uno addosso all’altro per uscirsene con l’ultima trovata. Nel 1959 comparvero le prime tavole fatte su scala industriale. Agli inizi degli anni ’60, oltre all’affollamento di costruttori, nuove competizioni nascevano e si moltiplicavano; le più popolari erano slalom e downhill (discesa), in quanto gli skaters cercavano di emulare i movimenti dei surf.
Certo i marciapiedi o le strade non erano il posto più sicuro e non avevano le caratteristiche per poter mettere in pratica in maniera speculare certe evoluzioni. Un regalo venne fatto loro dai vecchi acquedotti a cielo aperto di cui la campagna californiana era piena: lunghe discese concave come perfette onde di cemento.
Così ebbe inizio la migrazione verso le periferie. Ma fu quando Larry Stevenson, editore di Surf Guide, iniziò a promuovere lo skateboard, che le cose iniziarono a decollare. Makaha, la compagnia di Larry, progettò il primo skateboard professionale nel 1963 e fu preparata una squadra per promuovere il prodotto. Sempre in quell’anno Stevenson organizzò la prima gara di freestyle ad Hermosa, California. Fu l’occasione in cui i primi grandi nomi dello skate iniziarono a distinguersi: Tony Alva, Jay Adams e Stacy Peralta. Questi passarono alla storia come gli Z-Boys, surfisti fatti skaters.
Le ragazze che lo praticavano erano in netta minoranza rispetto ai maschi. Fra queste si distinse Patti McGee, prima skater donna professionista sulla copertina del magazine Life del 1965.
Le squadre di skate finanziate dai produttori divennero un punto fermo per la promozione del prodotto, ma ebbero anche un grande ruolo nel diffondere la disciplina nel mondo. Ai contests venne data una regolamentazione e questo elevò lo standard dello skate, portandolo allo status di sport.
Il 1965 vedeva competizioni internazionali; i vari team giravano i paesi e la popolarità toccò picchi enormi. Venne girato il primo film Skater Dater prodotto da Marshall Backlar, scritto e diretto da Noel Black vincitore della Palma d’Oro come miglior cortometraggio al Festival di Cannes del 1966. Le pubblicazioni Surfer nel 1964, editore John Severson, crearono la rivista The Quarterly Skateboarder poi ribattezzata, dal terzo numero, Skateboarder. Il magazine venne pubblicato solo per quattro numeri. Oltre 50 milioni di skateboard furono venduti in quei tre anni.
Con la stessa velocità con cui ebbe inizio, nell’autunno del ‘65 tutto svanì.
Lo sconvolgimento pubblico per le corse spericolate e le cadute brutte degli skaters, portarono le Contee a bandire questa attività in risposta alle preoccupazioni per la salute e la sicurezza. Altro punto, la mancanza di sviluppo delle attrezzature. I produttori, oltre a fare qualche restyling, non avevano idee per migliorarle. I truck (supporti delle ruote) immobili; le ruote passarono dall’essere in acciaio, legno o bachelite, a quelle in argilla che rendevano la corsa più liscia ma nulla più. Se aggiungiamo che la seconda parte degli anni sessanta fu un periodo di grandi conflitti politici e sociali a livello mondiale, assassinii e con una guerra, quella del Vietnam, sempre più controversa, attività spensierate come il surf sul marciapiede furono eclissate dall’immaginazione collettiva.
Alcuni irriducibili cercarono di mantenerlo vivo. Continuarono a credere.
Una conquista tecnologica lo riportò in prima linea.
Nel 1970 un surfer di nome Frank Nasworthy iniziò a sviluppare una ruota fatta di uretano. Paragonata alla precedente in argilla, la sensazione nell’usarla era magnifica e per il 1973 le Cadillac Wheels di Nasworthy avevano lanciato la seconda ondata. I fabbricanti di truck cominciarono a fare progetti focalizzati per lo skate. Produttori di tavole, nuovi e vecchi, si affacciarono sul mercato; l’industria fu inondata da idee innovative e il mondo di prodotti. Nel 1975 Road Rider introdusse le ruote con cuscinetti di precisione, facendola finita con anni di cuscinetti a sfere libere che avevano il vizio di schizzare fuori dalla sede.
Downhill Slalom Freestyle
Lo slalom, il downhill e il freestyle tornarono a essere praticati da milioni di entusiasti. La rivista SkateBoarder fu fatta risorgere e presto vi si unirono altre pubblicazioni speranzose di guadagnare dal ritorno dello skate. Bruce Logan, Russ Howell, Stacy Peralta, Tom Sims e Gregg Weaver vi comparivano di continuo. Il movimento stava girando di nuovo.
Gregg Weaver Bruce Logan
Poi arrivò l’estate del 1975. La siccità e un architetto finlandese fecero ancora la fortuna di questo sport.
Vi chiederete come.
La Contea di Del Mar, California, venne colpita da una grave siccità e vietò ai propri cittadini di usare l’acqua per riempire le piscine.
Alvar Aalto, architetto, nel 1939 progettò una piscina dalle linee completamente innovative: a forma di rene e con il fondo concavo su due livelli ad altezze diverse. Nel dopoguerra gli architetti europei furono molto richiesti negli USA e farsi fare piscine dalle linee morbide era simbolo di lusso ed eleganza.
Alvar Aalto – piscina Skater in piscina
Un gruppo di ragazzi stanchi di aspettare una buona mareggiata e altrettanto dei canali prosciugati, scavalcarono la staccionata di una casa e, con le loro tavole, iniziarono a skeittare le superfici curve della piscina del tutto simile a quella progettata da Alvar Aalto. Quei ragazzi diedero inizio a una lunga serie di illegal back-garden sessions che incendiarono la scena skate californiana, cambiando radicalmente la storia di questa disciplina.
Lords of Dogtown film del 2005, diretto da Catherine Hardwicke, scritto da Stacy Peralta, già autore del documentario Dogtown and Z-Boys del 2001, fornisce un resoconto storico del periodo, compresa la nascita dello Zephyr Skate Team (Z-Boys) di Skip Engblom loro fondatore.
Nel 1976 in Florida venne aperto il primo skatepark all’aperto: Skateboard City a Port Orange. Fu presto seguito da centinaia di altri parchi su tutto il territorio statunitense. Con le nuove possibilità offerte da queste strutture, la disciplina si mosse dall’orizzontale al verticale; freestyle e slalom divennero gradualmente meno popolari. Skeittare nelle piscine con pareti curve e verticali portò come risultato il miglioramento della tecnica. Gli skaters furono in grado di eseguire manovre aeree e andare ben oltre il bordo. Alla fine degli anni ’70 Alan Gelfand inventò l’ollie e portò lo skateboard al livello successivo.
Alan Gelfand Manovra Ollie
Lo street style si sviluppa quando gli atleti iniziarono a portare trick verticali sul terreno piano.
Wes Humpston, skater e artista, diede vita nel 1978 alla linea DogTown Skates: le prime tavole a portare immagini originali nella parte inferiore, avendo un grande successo.
Wes Humpston
In Italia arriva nel 1977 dopo un servizio televisivo del programma Odeon, rubrica di spettacolo e curiosità dal mondo, a cura della RAI. L’invasione partì dalle città del centro e del nord, proseguendo su tutto il territorio nazionale. Quell’inverno è un autentico boom: strade e marciapiedi invasi da giovanissimi entusiasti. Il successo dello skateboard venne accompagnato da numerosi incidenti. Per la forte pericolosità, Genova è la prima a vietarne la circolazione. Il divieto viene esteso a tutto il paese all’inizio del 1978, con il disappunto dei ragazzi e la buona pace dei vigili urbani. Ma anche negli Stati Uniti la vecchia preoccupazione per la sicurezza, rialza la testa. Le assicurazioni divennero costose tanto che molti proprietari di skatepark chiusero le porte agli skaters, facendo entrare i bulldozer. Alla fine del 1980 lo skate morì un’altra volta tornando a essere underground.
Ma anche se i parchi sparirono, un contingente di duri e puri continuò a sviluppare lo sport nel giardino di casa.
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